Sebbene all’inizio il tempo sembrasse passare piuttosto lentamente e l’espressione “un anno di volontariato in Lettonia” suonasse un’impresa da supereroi, il 29 luglio 2019 si è concluso il mio SVE.
L’unica cosa di cui mi rammarico pensando a questa sensazionale esperienza è di non averla fatta prima. Come mai nel nostro paese i giovani sono pressoché digiuni di informazioni riguardanti le possibilità che il progetto Erasmus+ offre ai giovani? Perché a 18 o 19 anni, dopo la fine della scuola superiore, le uniche due vie possibili risultano essere l’università o un posto di lavoro? Secondo la mia personale esperienza il servizio di volontariato europeo è certamente stata un’esperienza formativa dal punto di vista del lavoro, grazie al quale ho avuto la possibilità sia di esperire l’ambito dell’insegnamento delle lingue che di esplorare quel grande mondo che è il progetto Erasmus+ con le sue vastissime possibilità destinate non solo ai giovani studenti universitari (prima di partire per il mio SVE l’unica sfaccettatura dell’Erasmus+ che conoscevo era il soggiorno di studi all’estero per un periodo di tempo) ma anche a tutti coloro, indipendentemente dall’età o dall’impiego, che sono interessati a partecipare a tirocini, seminari o ad altri tipi di progetto attivi in Europa. La scoperta più grande però è riconducibile, più che all’aspetto lavorativo, all’aspetto culturale; parlo di quel fantastico crogiolo in cui ho vissuto per 12 mesi, nel quale si sono mischiati così tanti volontari e non, ciascuno con i suoi punti di vista, le sue abitudini, le sue storie da raccontare. Uno degli aspetti più tristi è che così come un bel giorno si parte per questo viaggio nel mondo SVE, venendo catapultati in una realtà così riccamente colorata e molto spesso festaiola che incuriosisce e attrae – un po’come il carnevale a Rio de Janeiro- arriverà anche il giorno in cui si dovrà estrarre il biglietto di ritorno per fare rientro a casa. Un giorno Jesus, un volontario spagnolo, iniziando a vedere le sue persone più care andare via da Rezekne alla fine del loro SVE, disse: “Dovrebbero fare in modo da farci arrivare e andare via tutti insieme!”. Nils, un mio amico volontario tedesco, rispose: “Se facessero così conosceremmo solo un gruppo di persone, non avremmo la possibilità di conoscere tutte quelle che veniamo a conoscere così spesso come ora. It’s the life, dude!”. Non ho mai conosciuto tante persone quante ne ho conosciute durante il mio servizio di volontariato. È chiaro che per il futuro ci si augura che tutti rimangano presenti, ma per una miriade di motivi purtroppo questo non sempre capita: l’inizio di un nuovo percorso di studi, nuove opportunità di lavoro, questioni familiari, la distanza. Fra questi e altri motivi penso che la distanza sia la variabile che più fa paura, ma allo stesso tempo aiuta a capire moltissime cose. Nel mio caso proprio la distanza mi ha fatto capire chi sono le persone che contano davvero: quando il giorno della sua partenza ho accompagnato Capucine, la mia prima coinquilina francese, alla stazione di Rezekne, con la voce un po’spezzata e gli occhi lucidi, mi ha detto: “It’s not a goodbye, it’s a see you soon!”. Certe frasi si dicono talvolta per educazione o per l’euforia del momento, ma noi ci abbiamo creduto davvero. Capu è tornata a Rezekne a far visita per ben due volte entro nemmeno un anno dal nostro primo incontro. Oggi lei fa parte di quelle che a me piace definire come “le mie persone preferite”. Di quella categoria di persone fanno parte anche Arman, Tibo, Masha, Astrid, Redona e altri volontari conosciuti in Lettonia. I miei migliori momenti di crescita personale sono avvenuti anche durante i miei innumerevoli viaggi intrapresi nel corso del mio periodo di mobilità. Lo SVE dà la possibilità di raggiungere tantissimi posti a costi, almeno partendo dalla Lettonia, decisamente contenuti. Il mio viaggio migliore è stato quello a Mosca: viaggio intrapreso per ovvie ragioni da sola, ma durante il quale non mi sono mai sentita più in compagnia. Ero in contatto quotidianamente i miei genitori, con gli amici in Italia e con quelli nuovi, che mi motivavano nel vivere al 100% il mio viaggio nell’enorme terra russa, che forse proprio per la sua grandezza all’inizio mi intimoriva un po’; tutti erano incuriositi dal conoscere Mosca attraverso i miei racconti, le mie vicende, le foto che inviavo loro. Una sera mi sono trovata a camminare su un viale nel cuore della capitale russa, paragonabile per dimensioni ad un’autostrada, mangiando un kebab e rimanendo ammaliata dalla gente che camminava su e giù non facendo assolutamente caso alle luci, al traffico moscovita, alla dinamicità che caratterizzava l’atmosfera, alla maestosità degli enormi edifici sovietici che costeggiavano la strada e mi facevano sentire piccolissima. Nella riproduzione casuale della mia playlist era capitata Can’t sleep di K.Flay. Questo è uno dei ricordi più belli che ho di Mosca. In conclusione: perché lo SVE è risultata essere un’esperienza così costruttiva, colorita e magnifica a tal punto da parlarne a tutti e cercare di motivare chiunque a partire? Tanti sarebbero gli episodi e le variabili da analizzare; questi da me raccontati sono solo degli esempi. Col senno di poi mi sento di dire che all’inizio del mio servizio non ero questa Francesca; lo SVE mi ha aiutato ad essere più spontanea e ad aprirmi di più alle persone che trovo sulla mia strada, a non catalogarle ma ad accettare anche ideali, pensieri ed opinioni diversi dai miei, tenendo presente che ciascuna di esse avrà, in qualche modo, qualcosa di nuovo da insegnarmi. Lo SVE mi ha insegnato a superare quei limiti fittizi che solo io mi ponevo; le mie paure. “Se non ci provi non saprai mai com’è” è diventato il mio motto. Lo SVE mi ha fatto capire che il tempo non è mai perso, ma ogni momento è un’esperienza che, inserita o meno nel curriculum, ci si porta dentro e tornerà un giorno sicuramente utile. Un grande grazie va alla mia organizzazione di invio e a quella ospitante che mi hanno dato la possibilità di scoprire questo mondo Erasmus+, a tutti coloro che sono entrati nella mia vita e oggi sono felice di chiamare amici, a quelli con cui ho speso solo un paio d’ore a chiacchierare. Il grazie più grande va forse a Rezekne e alla Lettonia: un paese che pur essendo totalmente diverso dalla mia amata Italia, anche per il prossimo anno ho scelto come casa e sede della nuova esperienza che sto per intraprendere. Questa volta a Riga. Francesca
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La mia esperienza in Croazia è iniziata quasi per gioco ma ha preso vita così in fretta che da un giorno all’altro mi sono trovata catapultata dalla noiosa palestra di pallavolo, teatro della mia stagione sportiva passata, al coloratissimo centro culturale che era diventato il mio sogno dell’estate.
Arrivata a Pola, la casa mi ha accolto con tutto il fascino della decadenza dell’edificio che la ospitava. Il palazzo del condominio apparentemente fatiscente nascondeva un appartamento accogliente, pulito e moderno. La prima settimana, che ho passato sola perché le mie coinquiline erano a un corso di formazione, è servita per prendere confidenza con il quartiere, la città e soprattutto il Rojc e la sua gente. A differenza di quanto mi aspettassi, i preconcetti non hanno per definizione ragione d’esistere, Pola mi ha accolto con il calore della sua gente, con le chiacchere in istro-veneto al bar con gli anziani e gli scambi con la gente della mia generazione che sorprendentemente ricordava con nostalgia Toto Cotugno, Albano e Romina e Rita Pavone. Non solo, Pola mi ha accolto tra le sue bellissime rovine romane a due passi dal mare e mi ha promesso un’estate indimenticabile, promessa che poi ha mantenuto con successo. Dopo qualche giorno di assestamento passato a chiedere se potevo essere utile per qualcosa, ciondolando da un corridoio all’altro, nella splendida galleria colorata di graffiti che è il Rojc, con la bocca spalancata e la testa piena di idee e aspettative, è iniziata veramente la mia avventura. E’ arrivato il circo, con i suoi personaggi assurdi, i cani, i colori e le fantasie più disparate e soprattutto i talenti che lo animavano. Era una piccola compagnia francese che durante gli spettacoli viveva il loro lavoro in maniera estremamente seria e professionale. Ero molto affascinata da questo fatto, soprattutto se pensavo che la ricompensa era veramente esigua… solo qualche kuna nel cappello! Quindi, questo fu l’inizio: qualche foto qua e là, qualche meeting nella sala centrale che ospitava gli eventi della comunità e soprattutto preziosi scambi e lunghi caffè con quelli che sono stati i miei colleghi dell’estate. Persone tutte speciali, aperte al dialogo e con tante storie da raccontare. Ha piovuto tutto maggio, instancabilmente, eppure il mio primo mese è stato davvero speciale, animato dallo spirito di una diciottenne al suo Erasmus all’estero. I giorni volavano alternandosi tra le mie sei ore di servizio e i ritagli di tempo libero tra un giorno e l’altro, spesi a visitare le spiagge nei dintorni, i luoghi meno conosciuti, la storia della città e soprattutto la sua gente. Al Rojc le attività da svolgere erano parecchie e molto varie: la nostra sala era condivisa con molte associazioni di volontariato, che spesso tenevano incontri pubblici , riunioni o esposizioni. Noi davamo il benvenuto ai volontari e facevamo trovare la sala ordinata e pulita, oltre a scattare qualche foto che poi condividevamo sui nostri social. I compiti venivano divisi equamente: chi lavorava sulla grafica, chi organizzava eventi, chi innaffiava i fiori. Insomma, c’era sempre qualcosa da fare in un posto così grande e abitato da così tanta gente! Ma la maggior parte del tempo era dedicato a lei, la mia compagna di avventura croata: Radio Rojc! A inizio giugno scorso, io ed altri tre ragazzi, abbiamo partecipato ad uno scambio giovanile a Kranevo, vicino Varna, in Bulgaria, sulle diverse modalitá di comunicazione dal titolo "Communication change communities". Lo scambio ci ha dato modo di entrare in diretto contatto con numerosi altri giovani provenienti sia dall'UE, che dai paesi partner, e nello specifico con Turchi, Georgiani, Serbi, Macedoni e Bulgari. In questo scambio abbiamo avuto modo non solo di sviluppare, attraverso svariate attività ludico-educative e giochi formativi, competenze non formali inerenti le diverse forme di comunicazione (formale/informale, verbale e non), ma abbiamo anche avuto il privilegio di sviluppare, in modo particolare, tre delle competenze chiave che la Commissione Europea ha posto come fulcro di sviluppo per il settennato 2014-2020: La Comunicazione nella lingual madre; la Comunicazione in lingue straniere; ed il Dialogo interculturale!! Lo sviluppo di quest'ultimo è stato reso possible non solo grazie alla coesione di gruppo che si è creata sin da subito, dopo la prima serata di ice-breakers e name games, ma anche grazie alle tre serate interculturali avute durante l'arco del progetto, in cui, attraverso l'assaggio di cibi e bevande tipiche delle nazioni partecipanti allo scambio, e grazie a quiz di gruppo a premi, canzoni e balli tradizionali, è stato possible immergersi appieno nelle tradizioni e nel folklore che rendono l'Europa cosí unica, ammirabile e stupefacente nel piú vasto quadro mondiale!! :) Se volete uscire dalla vostra comfort zone allenando una lingua oggigiorno fondamentale come l'inglese, conoscendo giovani da tutta Europa, sviluppando competenze non formali sempre piú richieste anche dai datori di lavoro, non avete da far altro che participare ad uno di questo scambi giovanili, completato il quale otterrete anche il celeberrimo Youthpass, unica certificazione ad ora rilasciata dalla Commissione Europea, che certifica non solo di aver preso parte ad un'esperienza particolare come questa, ma anche di aver acquisito/migliorato le otto competenze chiave fissate dalla Commissione come obiettivi chiave da perseguire in questo settennato, che va ormai concludendosi!! Tommaso Rossi |
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